“Trasferimento in una nuova abitazione o in una nuova sede, con il complesso delle operazioni di trasporto e di sistemazione”, detto così sembra quasi qualcosa di affrontabile e io questa volta dovevo davvero traslocare, era inevitabile.
Ho rimandato continuamente eppure la fine di aprile si avvicinava e dovevo abbandonare quella casa dove mi ero trasferito da poco più di un anno, quella stanza che in un anno si era trasformata in un vero e prorpio bazar di cianfrusaglie.
Ho la meravigliosa e maledetta abitudine di conservare tutto, gli oggetti racchiudono la memoria di se stessi e del momento in cui li hai trovati comprati ricevuti in regalo rubati presi in prestito e mai restituiti creati appiccicati scritti decorati trasformati in arte o in suppellettili buoni a raccogliere la polvere.
Adoro conservare, cum-serbare,salvare qualcosa, guardarlo da tutto ciò che potrebbe distruggerlo, scemarlo, alterarlo (etimo).
Un ardente e nobile desidero che si è trasformato in una doppia sfida da eroe greco, dare ordine al caos, riuscire a trasformare tutto in una scatola e dulcis in fundo caricare tutto su un’automobile, ammesso che una sia sufficiente.

Premessa, per inscatolare ci vogliono le scatole.
La loro ricerca non è difficile, il nostro mondo inscatola praticamente tutto, ogni merce arriva in una scatola e una volta arrivata, la scatola non serve più e anche lei trasloca, nella migliore delle ipotesi, nel cassonetto della carta.
Unico tra i suoi simili a non emanare un disgustoso olezzo nel mio immaginario era ed è un luogo fondamentalmente pulito dove scatole, cartoni, giornali riviste risme di carta pubblicazioni libri universitari fotocopiati pagine e pagine di utili o inutili stampe da internet opuscoli vari si raccolgono.
Lì sono andato a raccogliere le mie scatole, tranne alcune che Elisa è stata così carina da partarmi, e lì, in un comune cassonetto giallo in un comune incrocio di una comune strada di firenze dentro il cassonetto della carta stavo per finirci io.
Chi mi conosce lo sa, non sono una cima, non sono basso, aono solo una versione economica del modello uomo base.
Essendo ben proporzionato neanche i miei arti superiori sono delle gru, nè quelli inferiori dei trampoli.
Se combinate queste osservazioni con il fatto che i cassonetti della carta che ho trovato non erano mai vuoti, ma nemmeno pieni strabordanti, dedurrete che mi sono dovuto ingegnare per raccogliere il materiale.
Trovato un secchio da usare come gradino per incrementare la mia altezza ho risolto il problema connesso agli arti inferiori ma privo di un uncino con il quale agganciare le scatole quello della lunghezza degli arti superiori persisteva, Caszzo non ci arrivavo. E quel cassonetto conteneva proprio quello di cui avevo bisogno, scatole, di quelle dimensioni giuste, nè mastodontiche ne microscopiche.
Mi sono sporto, con un braccio tenevo lo sportello del cassonetto, con l’altro cercavo (invano) di raggiungere le scatole poggiate sul fondo, sempre più in punta di piedi nel tentativo di guadagnare quei centimetri, pochi ma indispensabili. Mancava poco, veramente poco quando finalmente l’ho presa, la contentezza deve essere stata tale da causare un abbassamento di tensione mentale e un conseguente rilassamento muscolare, il braccio che teneva lo sportello del cassonetto si è pappamollizzato, delle due punte in piedi sul secchio gradino una e mezzo ha perso l’appoggio, mi sono sbilanciato in avanti. Risultato: sono rimasto icastrato! lo sportello si è chiuso, sembravo che3 il cassonetto mi volesse mangiare, mentre i miei lardominali premevano gioiosamente sulle labbra metalliche inferiori e io ansimavo e sganbettavo come una checca isterica.
Il tutto è durato pochi secondi, pochi orribili secondi.

Sono sopravvissuto e ho portato a casa due scatole, non avevo ancora iniziato a mettere ordine al caos e già nel mio viaggio dell’eroe mi ero scontrato con un mostro.

A qualsiasi persona chiediate, qualsiasi sito consultiate avrete sempre la stessa risposta, il trasloco necessita di organizzazione, è un processo razionale nel quale tutto si riduce a un parallelepipedo ma è anche un processo di pulizia, fisica, e la polvere abbonda, ma anche mentale, se ogni oggetto è un ricordo, riesaminarli, sistemarli decidere della lor esistenza (ti tengo o ti butto?) può essere pesante, faticoso, a livello profondo si intende.
Meno seghe!!!!

Ci sono voluti duegiorni, una pipa, diverse scatole, tanto nastro da carrozzieri un aiuto fondamentale e una seconda 4ruote per il trasporto da Florentia a Volaterrae, il mio colle natale.
Un ultimo appunto.
Sono arrivato a casa il primo maggio, domenica; dovevo trasferirmi a Roma i primi di giugno, il due maggio, lunedì mattina mi han chiamato da Roma:
“Volevamo comunicarle che la data di inizio del suo master è slittata a ottobre”
Ho dato una persona fisica a quella voce, e l’ho immaginata fagocitata da un cassonetto giallo.

Viva Mexico, il documentario di Nicolas Défossé, è un viaggio, il viaggio della carovana di media indipendenti che accompagna il Delegato Zero, il subcomandante Marcos incaricato dagli zapatisti di fare un viaggio, lungo 6 mesi, attraverso il grande stato messicano, per portare un messaggio di ribellione ma anche per ascoltare le tante storie di resistenza che il messico vive, dai contadini che resistono alla costruzione di una diga a chi ha occupato un pezzo di terreno e ci ha costruito perché il costo di una casa è insostenibile, a chi continua a lavorare la terra nonostante intorno a lui quella terra venga svenduta e fagocitata dalla megalopoli di città del Messico.
Viva Mexico, nelle sue due ore, ti porta in viaggio tra i messicani, dalla città di Los Angeles dove, senza documenti, gli immigrati vengono inseguiti dalla polizia all’estremo sud dove vivono gli zapatisti e dove la radio libera parla agli uomini col volto coperto da un passamontagna nero e alle donne con un fazzoletto rosso legato a coprire il viso.

Una delle prime domande che ho rivolto a Nicolas mentre fumava una sigaretta sotto il cielo grigio fuori dal Next Emerson è come mai ha impiegato così tanto tempo per realizzare il documentario. Marcos ha fatto il viaggio nel 2006, il film è uscito solo nel 2010. La risposta è stata complessa, con molte sfaccettature, dalla necessita di realizzare ulteriori interviste a problemi nella ricerca di filmati d’archivio, ma soprattutto perché la post produzione è stata eseguita da dei professionisti, e fin qui tutto ordinario, che hanno fatto il loro lavoro senza compenso, nel tempo libero, e qui siamo un po’ fuori dall’ordinario.
Siamo nello straordinario invece quando vediamo che il film ha vinto premi in numerosi festival, in Messico,Bolivia, Francia, ma non ha trovato un distributore.
Un fatto che non ha scoraggiato i produttori che hanno organizzato un tour, in giro per il Messico, proiettando il film e vendendo i dvd per continuare il viaggio, così come continuano a fare adesso al di qua dell’oceano, in Francia, in Italia e poi in Germania.
Nicolas mi ha raccontato che nelle proiezioni in Messico la gente rimaneva spesso stupita, stupita della propria ignoranza, del fatto di sapere poco o niente delle storie che venivano raccontate, delle storie di resistenza come quelle di repressione oppure di aver dimenticato che quei fatti, lontani 4 anni erano davvero accaduti in quel modo. Nicolas dice che uno degli scopi del film è creare una memoria collettiva e forse, per una piccola parte ci sta riuscendo.
Per noi europei Viva Mexico è un film talmente denso di informazioni che non si può riassumere, parla di una terra lontana, al di là dell’oceano, ma non è la geografia il vero problema, per molti di noi è lontana dal reale, una terra che conosciamo andandoci in vacanza, ammirandone le bellezze naturali e archeologiche oppure costruendola con le storie che leggiamo e ascoltiamo, come quella degli zapatisti e di Marcos, spesso più simili a leggende che non a fatti realmente accaduti.
Una terra distante, una distanza che certamente 120 minuti di documentario non possono colmare, eppure ci possono mostrare un Messico che non conosciamo, uno stato che vive di contraddizioni, di fughe all’estero alla ricerca di una vita migliore, di politici corrotti, di polizia violenta, di narcotraffico, ma anche di resistenza, anzi di resistenze, al capitalismo sfruttatore, alla cementificazione scellerata, all’omologazione dei costumi.
Il film è vero e drammatico eppure ti lascia addosso la speranza, sembra paradossale, ma forse se il Messico, con le sue difficoltà, con la sua società così diversa dalla nostra, con la sua povertà, con la sua corruzione e con tutte le sue piaghe vuole resistere, possiamo farlo anche noi, nella nostra povera Italietta frustata e schiacciata sotto un egemonia culturale che tutto è tranne che di sinistra.
Se loro resistono, possiamo resistere anche noi.

p.s. ho acquistato il Dvd del film e Nicolas mi ha detto che posso farlo vedere senza problemi, anche in pubblico.
quindi chiunque di voi fosse interessato basta che mi scriva

La sala è semivuota, il film è già nelle sale da una settimana anteprime escluse, e, nonostante sia mercoledì, mi sono, e ci siamo abituati a non vedere più le orde barbariche affollare le poltroncine sistemate l’una sopra l’altra se non l’una sul’ altra seguendo una diagonale che delinea una salita sempre più erta
ma il cinema non finisce mai di stupire, non per i film, ma per quelle deliziose situazioni sociologiche che potremmo inquadrare sotto il nome di “reazioni e comportamenti del pubblico”
In sala si proietta Boris il film, gioiellino cinematografico tratto da un capolavoro televisivo, Boris la serie, nata dalle menti di un diabolico trio di registi GIACOMO CIARRAPICO, MATTIA TORRE e LUCA VENDRUSCOLO che forse per questo creano nella fiction il gruppetto del basito F4, gli sceneggiatori fannulloni.
Tempo di sedersi mi imbatto in uno di quegli assurdi che sul momento ti fa arrabbiare ma a ripensarci non puoi fare a meno di sorridere
Premessa, siamo in un multisala che architettonicamente ricorda una delle strutture impossibili di Escher, con le porte delle sale, che prendono il nome dei corpi del nostro sistema solare, spuntare qua e la, anche dove meno te lo aspetti, Venere che si appoggia dolcemente a Marte mentre Mercurio, piccoletto, rimane schiacciato sotto e Sole dall’alto se la ride parlottando con Giove.
A Boris tocca Mercurio.
Pubblicità di birra e patatine poi spot dalla music inquietante in cui si raccomanda di spegnere il cellulare e di gettare bicchieri e sacchetti dei pop con nel cestino onde evitare di lasciare il cinema come una terra che abbia visto il passaggio dell’orda barbarica di turno.
Titoli di testa, musichetta…
“Ma che è Boris questo?” soave si alza la voce da dietro, con quell’accento romano che proprio non gasta.
“Ma volevamo venire a vedere questo?” incalza la compagna di posto
“Quindi abbiamo sbagliato sala eh?” riflette la terza
Da qui parte un parlottare fitto fitto sul da farsi, “ma voi volete vedere questo? No perché ci possiamo alzare a andare. Ma se a voi va bene.. a me va bene..” mentre intanto il film scorre, alla fine non decidono niente, io mi giro e faccio l’antipatico: “Shhhhh! scusate eh!”
Le voci si fermano e parte un risolino.
A me non esce il fumo dalle orecchie giusto perché non sono una teiera eppure adesso mi vien da ridere, solo al cinema ti posson capitare queste cose.

Il piatto forte della proiezione però non è questo leggero antipasto.
In un passaggio del film i tre sceneggiatori di Scrittura Democratica, devono trasformare come moderni alchimisti l’impepata di cozze della Casta nel cinepanettone Natale con la Casta.
Si sa, per le imprese quasi impossibili è bene rivolgersi a un esperto, nella fattispecie, il buon Glauco (GiorgioTirabassi), direttore della fotografia amico di Renè che impartisce ai 3 poveri sprovveduti la chiave del successo di un cinepanettone, le tette! che servono, guarda caso, per far soldi.
Ma non solo! importantissimo è trovare un buon inizio, una frase tipo “L’Italia è il paese che amo…” Mitico! gli risponde uno degli sceneggiatori, “Aspetta Aspetta” fa Glauco “qui ho le mie radici, la mie speranza, i miei orizzonti…”
Ho un’epifania, mi metto a ridere come un pazzo, praticamente ho le convulsioni, poi lo shock, in quella che, a parer mio è una delle battute più geniali del film, nonché una bella stoccatina politica non ride nessuno. Perché?
Possibile che nessuno ricordi quelle distinte parole?
Non so se la mia memoria sia stata di ferro o se un altro film visto pochi giorni prima (Silvio Forever di Faenza) l’abbia rafforzata ma, se gli avventori della sala Mercurio rispecchiano la media degli italiani credo che i tre registi non siano riusciti nel loro scopo, quello di rendere “omaggio” al nostro presidente del consiglio citando il suo discorso di “discesa in campo”.
Che lo psiconano sia davvero riuscito a farci dimenticare quell’indimenticabile discorso pronunciato solo, e si fa per dire solo, 16 anni fa?
Non lo so.. quella mancata risata mi ha fatto pensare, forse un po’ la sua televisione ci ha limato la memoria, forse tutto questo bunga bunga ci fa dimenticare le cose più importanti, come il tempo che scorre e i politici che non cambiano, forse siamo diventati sensibili solo alle battute da cinepanettone anche noi, oppure solamente alle persone in sala con me non è venuto da ridere per niente quando hanno sentito Glauco pronunciare quel discorso, o magari è sono una gigantesca sega mentale che mi sono fatto.

Non posso recuperarvi la scena del film, ma posso regalarvi l’originale, quello si, a futura memoria, e anche per sottolineare che lui, si lui, è un miracolo che si regga ancora in piedi secondo me!

p.s. sono tornato al cinema  la settimana seguente, sempre in sala Mercurio, e la maschera si è avvicinata a due distinti signori e gli ha detto: “scusate signori, avete sbagliato sala, Giove è di sopra”
Quanto è difficile l’astronomia dei cinema.

Ci sono cose difficili da capire, robe da scienziati. Potresti tranquillamente passare la tua intera vita senza conoscerle, ma ci sono dei momenti in cui vale la pena fare un sforzo. Sapere è importante, è importante per giudicare quello che accade, è importante per decidere di quello che sarà.

Il Giappone sta affrontando un disastro che è anche un disastro nucleare, il governo italiano continua a portare avanti la sua scelta di ritorno al nucleare nonostante il referendum del 1987.

A Sesto Fiorentino, nel Polo Scientifico dell’università di Firenze, l’organizzazione studentesca Studenti Di Sinistra il 29 marzo 2011 ha organizzato una chiaccherata/lezione con due fisici, i professori Angelo Baracca e Marcello Colocci.

Seguire tutta la lezione non è stato sempre facile, ma adesso ho le idee più chiare

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